INTERVISTE – Automazione: un valore per la filiera alimentare

11 Novembre 2020

In un anno senza fiere, Campetella Robotic Center, azienda marchigiana che opera nell’automazione industriale ha deciso di aprire le porte del proprio stabilimento invitando clienti, partner, fornitori (ma anche le famiglie dei dipendenti) a visitare la fabbrica a Montecassiano (Mc). L’evento, Campetella Robotics Calling 2020, si è protratto per tutto il mese di ottobre, per dare modo di organizzare le visite nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza: niente grossi gruppi, quindi, ma incontri personalizzati per conoscere meglio l’azienda e il suo approccio al mercato.

In occasione di una di queste giornate, anche noi abbiamo avuto modo di visitare Campetella Robotic, accompagnati da Carlo Campetella, che guida l’azienda da ormai quarant’anni. Lo abbiamo intervistato.

Carlo Campetella dirige Campetella Robotic Center
Carlo Campetella parla con un dipendente dell’azienda nello stabilimento

Ci racconta la storia della sua azienda?

La nostra è una azienda familiare, fondata dal mio bisnonno a fine del 1800, poi gestita dal nonno e quindi da papà e zio fino agli anni Ottanta. E’ a quel punto che sono subentrato io. L’azienda produceva macchine per il comparto agricolo, ma in quel periodo il settore era in declino e quando ho scelto di prendere l’azienda mi sono indirizzato all’automazione, portando l’azienda a specializzarsi nella robotica. Sono partito con tre dipendenti, oggi siamo un centinaio e il nostro stabilimento ha una superficie di 8.000 mq. Da qualche anno mi affiancano i miei figli. Con il loro ingresso, l’azienda ha preso una direzione più internazionale. Se prima l’estero rappresentava il 20-30% del fatturato e l’Italia il resto, oggi le percentuali si sono invertite. Il mercato, comunque, in Italia resta buono (intorno ai 7-8 milioni di euro).

In quali Paesi siete presenti?

Il nostro mercato è davvero mondiale: abbiamo distributori in 30 Paesi. In questo momento stanno crescendo molto gli Stati Uniti: abbiamo un importatore a Boston, ma anche nel nostro settore funziona il passaparola. Ci contattano delle società con fatturati enormi, rispetto a quelle europee, che hanno business in diversi settori industriali, in tutto il mondo.

Cosa caratterizza il vostro approccio al mercato?

Siamo molto flessibili nell’accogliere le richieste dei nostri clienti, che vanno dal singolo robot alla linea completa. Noi siamo un’azienda “anomala”, perché spaziamo in diversi ambiti e abbiamo esperienza in differenti settori. Il nostro obiettivo è costruire linee nel limite del possibile tutte con macchine nostre. Progettiamo i singoli pezzi e li realizziamo nella nostra officina meccanica o tramite stampa 3D per ottenere esattamente quello che ci occorre in tempi brevi.
Ci siamo resi conto che questo è un grande vantaggio per il cliente finale perché può interfacciarsi con un unico soggetto per l’assistenza o i ricambi… questo approccio ci dà delle belle soddisfazioni. Il fatto di gestire tutto il processo di produzione ci aiuta a essere flessibili e a rispondere alle richieste in tempi rapidi.
Oggi il cliente cerca sì un buon prodotto, ma soprattutto un ottimo servizio, e presidiando tutta la produzione di un impianto, noi possiamo garantirlo.

Quanto pesa l’alimentare, nel vostro giro d’affari?

Molto. In questo grande comparto rientrano molti segmenti in cui siamo operativi. Dalla produzione di linee complete per la posateria monouso, a quelle per il packaging. Dalle capsule per il caffè, alle cassette per ortofrutta…

Il tessuto del settore alimentare italiano è fatto prevalentemente da piccole medie e aziende. Anche per loro l’automazione è una via accessibile o è troppo onerosa?

L’automazione oggi è essenziale per poter essere competitivi, anche nella filiera alimentare.
Secondo me ci si può permettere di rinunciare all’automazione solo se si produce in bassi numeri, per una vendita diretta o poco più. Se si pensa di voler entrare nel circuito della distribuzione più strutturata (anche se limitata su base locale) il “tutto fatto a mano” non è percorribile. Senza implementare un certo grado di automazione non è possibile produrre a costi accettabili centinaia o migliaia di pezzi.
Certo l’automazione può essere molto spinta (se si vuole produrre i numeri che richiede il mercato su scala nazionale) o semplicemente un supporto alla produzione prevalentemente artigianale. In questo caso l’automazione può essere più semplice e meno onerosa e permette di raggiungere delle nicchie di mercato più grandi, ma non certo il largo consumo.
A mio avviso nel nostro Paese c’è la tendenza a esaltare l’artigianalità e a giudicare meno positivamente la produzione industriale, in molti settori, alimentare compreso. Io credo che la produzione artigianale sia un grande valore del nostro Paese, ma che sia quella industriale che possa soddisfare il mercato e creare lavoro.

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